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mercoledì 2 giugno 2010

Rigore e sogno: Gianfranco Viviani

E sempre da un vecchio archivio, ripesco questa intervista a Gianfranco Viviani, che per certi versi è l'antitesi di Charles Stross: per quanto Charles è atipico e bizzarro, Gianfranco è sistematico, rigoroso. Un simbolo e un riferimento per chiunque in Italia abbia mai scritto fantascienza. Prima con l'Editrice Nord, poi con Odissea di Delos Books. Insomma, un caposaldo culturale.




Qual è stato il primo scritto di fantascienza che hai tenuto in mano?



Da quando ho cominciato a leggere fantascienza ho letto tanti di quei romanzi che a volte nemmeno rivederne il titolo mi fa ricordare di che storia si trattasse. Prima ancora di arrivare a Urania, che è stato un passo quasi obbligatorio per la gente della mia generazione, tra gli undici e tredici anni avevo letto i classici: Verne, Wells, Poe, Mary Shelley. A quei tempi (parlo degli anni 1948-1951) la mia famiglia si era trasferita in un piccolo paesino calabro ai piedi dell'Aspromonte nel quale non ho mai capito cosa ci facesse la gente (cinquant'anni dopo sono tornato a vederlo e anche il quell'occasione mi sono posto la stessa domanda), lì non c'erano librerie e nemmeno edicole, così quello che potevo leggere erano i libri che riuscivo a trovare nelle case di amici. Poi finalmente sono tornato a Milano e qualche anno dopo qualcuno mi ha regalato due fascicoli usati di Urania, e ancor più dei classici, quei due romanzi sono quelli che ricordo con maggior nostalgia. Si trattava di "Cristalli sognanti" di Theodore Sturgeon e di "Livello 7" di Mordecai Roshwald. Inutile dire che da quel momento e per molti anni ho consumato un Urania ogni due giorni, occupando piacevolmente le tre ore giornaliere di tram che mi ci volevano per andare a lavorare.

Tu hai tenuto i contatti con decine - a dir poco - di autori di sf. Qual è quello che ti ha colpito di più come persona e perché?


Ce ne sono tre in particolare che mi hanno colpito: Harry Harrison, Frederik Pohl, Alan Dean Foster. Tre persone splendide. Quando li conobbi erano all'apice della loro fama, eppure mi sorprese la loro modestia il loro cameratismo, la loro disponibilità. In Italia conoscevo autori che per il solo fatto di aver pubblicato un libro guardavamo tutti dall'alto in basso con la puzza sotto il naso; quei tre americani, invece, pur essendo famosi, ricchi e tradotti in tutto il mondo, non si facevano problemi a socializzare, a rimanere seduti per terra tutta la notte con gli amici e i fan a bere birra e chiacchierare e scherzare con chiunque. Per me è stato come scoprire un mondo nuovo e la cosa mi ha tanto colpito che in qualche modo ha anche condizionato il mio rapporto con la gente.


C'è qualche aneddoto che ricordi?


Un giorno il mio amico Karel Thole, che era assiduo frequentatore delle Conventions mondiali di fantascienza, mi disse: " Senti, Gianfranco, ormai tu operi da cinque anni in questo settore, ma se non ti muovi, rimarrai sempre uno sconosciuto, piccolo editore italiano. E' arrivato il momento che io ti presenti tutte le persone che contano nel mondo della fantascienza, persone che ti possano spianare la strada nel tuo lavoro. Quindi preparati che dopodomani andiamo a Dublino". A Dublino si teneva la Conferenza Internazionale degli operatori della SF. Non sapevo una parola d'inglese, avevo paura perché sarebbe stato il mio primo volo, ma non esitai ad accettare. Il primo giorno rimasi tutto il tempo zitto sulla mia sedia ad ascoltare senza capire quello che dicevano i vari relatori: Karel mi disse che autori, traduttori, editori, agenti letterari, esponevano le loro idee su come dovesse evolversi l'editoria di fantascienza, sulla opportunità di scrivere romanzi brevi piuttosto che lunghi, su quanto fosse opportuno continuare a far pagare caro il diritto d'autore nei paesi dell' Est europeo, piuttosto che ribassarlo. Ero un po' deluso. Poi dalle 23 di quello stesso giorno le cose cambiarono. Dopo cena, Karel annunciò che in una certa camera al sesto piano dell'albergo si teneva un room party e che dovevamo andarci. "Ma sei matto? Non siamo invitati e non conosco nessuno" "Vieni" tagliò corto Karel. Arrivati davanti all'uscio, Karel bussò e dall'interno si sentì un vocione urlare: "Avanti" in italiano. Era Frederik Pohl. Non ho mai saputo se Karel li avesse avvisati, ma in quel momento ebbi l'impressione che mi stessero aspettando. E quell'avanti per me assunse il significato di "benvenuto nel nostro mondo". C'erano veramente tutti e, incredibilmente, molti di loro sapevano il francese, così parlai tutta la notte, e continuai giorno e notte nei successivi tre giorni, tra boccali di birra irlandese che favorivano gli scambi di idee. Non sto a elencare i nomi di tutti, ma strinsi amicizie che negli anni successivi furono determinanti per il mio lavoro.


E' vero che i romanzi di sf che escono negli Stati Uniti sono meno curati di quelli che escono in Italia? E perché?


Non si può generalizzare. Ci sono fior di autori che curano le loro opere nei minimi particolari, però ci sono anche autori meno esperti che hanno fretta di consegnare il manoscritto all'editore. Da quello che vedo, molti editori americani si fidano dell'autore e non eseguono editing sulle opere che pubblicano, perciò quei libri contengono numerosi strafalcioni di stile e di struttura che forse passano inosservati ai lettori USA, ma che quando vengono tradotti in italiano è necessario rivedere, mettendo a posto quello che l'autore ha dimenticato di fare. Da questo punto di vista le opere che escono in Italia sono più curate.


Che cos'è la fantascienza per Gianfranco Viviani?


Edgar Allan Poe diceva: "Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte" A me la fantascienza ha sempre fatto sognare di giorno e di notte. Ha aperto la mia mente alla tolleranza per i diversi, mi ha proiettato in mondi allegorici che non sono altro che lo specchio in cui si riflette il modo in cui vorremmo vedere il nostro, mi ha divertito anche nei momenti tristi in cui non avrei potuto farlo. E nonostante si dica che la fantascienza sia una narrativa d'evasione, a me ha dato importanti spunti di riflessione.

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